“Il vero infinito non può essere carpito nell’esperienza”

In questo articolo tratteremo il limite in ambito conoscitivo sia puramente fisico che interpersonale.

Concludiamo così la serie di articoli legati al tema del limite nella quale abbiamo parlato del mito di Icaro, del limite matematico e del linguaggio in preparazione all’incontro di domenica: “LE SFUMATURE DEL LIMITE: tra identità, affettività e benessere” del festival di filosofia “Filosofarti” che sarà tenuto a Stoà dallo psicoterapeuta Daniele Crosta.

L’essere umano in quanto finito è limitato nella conoscenza in relazione sia ai sensi che gli permettono di percepire solo determinati aspetti della realtà, per esempio l’uomo percepisce solo determinate lunghezze d’onda della luce, sia alle connessioni neurali che non posso essere illimitate.

L’uomo vive dunque quella che Kant definiva una “crisi di diritto” ovvero, data la sua natura, non può raggiungere una conoscenza assoluta e completa della realtà.

Neanche aiutandosi con strumenti che gli consentono di superare i limiti, ad esempio, in campo visivo è eclatante il cannocchiale che permise a Galileo Galilei di osservare Giove e le sue lune.

L’avanzamento tecnologico sta espandendo sempre di più i limiti fisici ma, visto che superato un limite se ne pone sempre un altro, difficilmente si potrà arrivare ad una conoscenza totale data la scala dimensionale con l’universo, che peraltro è in espansione, e il fatto che la conoscenza si basi su presupposti fisici necessari come spazio e tempo che il filosofo di Königsberg definiva forme a priori.

Schopenhauer nelle sue teorie descriveva l’uomo come animale metafisico che naturalmente tende a superare il fenomeno e conoscere ciò che c’è oltre scoprendo la vera essenza della realtà. Secondo lui essa era la “Voluntas” o volontà di vivere che l’uomo poteva conoscere sorprendo la realtà dal Velo di Maya del fenomeno. 

Fatto sta che l’uomo è, sin dall’inizio dei tempi, alla ricerca della causa del fenomeno e della sua vera natura o essenza che non è però kantianamente percepibile tramite l’intuizione sensibile e quindi “noumeno”.

Questa indagine ha portato anche alla nascita delle religioni e non a caso molte di queste si basano sulla fede e non su una certezza.

Su questa visione si diramano due strade principali per la felicità che sono la scelta della religione che porta ad una possibile completezza in questo ambito o, come diceva Epicuro, il disinteressarsi per ciò che non si può conoscere non ponendosi direttamente il problema.

Spostando il discorso sul piano interpersonale la relazione con l’altro si fonda molto sulla conoscenza del prossimo ma soprattutto di se stessi, sapendo chi si è e quali sono i propri limiti si pone una base sulla quale poter costruire delle relazioni sane e non precarie.

La relazione e la conoscenza dell’altro però incontra dei limiti.

Non possiamo conoscere completamente l’altro perché non possiamo entrare nella sua testa e possiamo apprendere solo ciò che traspare da quest’ultimo creandoci un’idea che a sua volta è influenzata da noi stessi e, dunque, non oggettiva.

Inoltre anche la conoscenza di noi stessi non può essere completa in quanto la nostra analisi introspettiva è limita sia fisicamente dato che non si conoscono tutti i meccanismi neurologici, sia psichicamente poiché non sempre si può trovare una spiegazione e determinati comportamenti, pensieri o emozioni.

Giovanni Galli 

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